8/8/2019
Una vetta davvero impegnativa. L’idea è di Stefano, la nostra guida che ci ha letteralmente “attaccato” il vizio dei 4000. Il club dei 4000 non è per tutti e una volta intrapresa questa strada non può mancare, nel tuo carnet, l’unica montagna con questo altezza ad essere tutta in territorio italico.
Il ritrovo è a Pont di Valsevarance, nel primo pomeriggio. Stefano è di poche parole, i convenevoli sono brevi ma l’intesa è immediata. Un caffè all’unico bar dell’omonimo parco. Si parte subito per il Rifugio Chabot dove passeremo la notte. Il dislivello è di 800 metri, da 1950 a 2750, l’ascesa è piacevole ma non è una passeggiata. L’arrivo è previsto per le 17,00.
Il ristorante è piccolo e occorre fare i turni. Noi siamo al primo, ore 19,00: che fame! Che c’è da mangiare? La risposta è lapidaria e si basa sulla quantità: un primo, un secondo e un dolce. Della serie, sii felice che ti tocca un bel pranzo completo!
La notte inizia presto, si riposa ma non si chiude occhio! Il cuore è a 1000, un po’ per l’altitudine e un po’ per l’emozione. D’altra parte la sveglia è puntata presto: 3.30! Colazione, preparativi di rito, zaino in spalla alle 4,30 siamo già sulla via delle vetta, al buio con il frontalino munito di pila.
Le prime due ore scorrono veloci, non fa freddo. La voglia è tanta, il fisico pieno di energie, l’aria non troppo rarefatta. Poi si parte con il tratto nel giaccio: ramponi ai piedi, corde e piccone o picca come la chiama Stefano. Una breve sosta per un thé caldo dal termos, ora ci attende il tratto più duro.
Intanto è l’alba dietro di noi, tinta di rosa dalle prime luci, si scorge lontano e in mezzo alle nuvole una montagna maestosa che sembra voler competere per vincere. Stefano ci conferma: è il MonteBianco!
Finalmente raggiungiamo la vetta, sono le 10,00. Il cuore è a 1000, il fiato non c’è quasi più ma non manca l’energia per una foto col sorriso. Gran Paradiso 4061 metri di altitudine.
La discesa all’inizio è un sollievo. Un po’ per la sensazione di andare veloci, un po’ per il cambio di sforzo, un po’ per l’ossigeno che torna ad abbondare. Il fatto è che dopo si fa avanti la fatica più grande per i muscoli stremati e posti alla prova ancor più dura dalla neve sfatta che sprofonda e poi dagli sfascioni e dallo sforzo incredibile sotto le spinte gravitazionali imposte dalla discesa sempre più veloce. Una vera prova di resistenza che trova sollievo solo dopo diverse ore alla vista del rifugio 1300 metri più sotto.