Il senso della vita è il cammino, non la meta.
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Un sentiero magico del levante Ligure

A piedi da Recco a Genova Nervi. Che bella avventura dietro casa! Questa è una chicca per amatori del genere. Il trekking è abbastanza impegnativo poiché ti attendono circa 5 ore di saliscendi lungo “creuze”, antiche e più recenti, che si arrampicano tra campi di ulivi e poi si gettano di nuovo sul mare. Dopo aver gustato la famosa focaccia, mettiamo da parte le energie che servono allo spirito per affrontare il percorso: la prima tappa è Mulinetti con la sua cala a mare, sassosa e elegante. Poi, attraverso la Salita Costa Lunga, intercettiamo il Sentiero Liguria che ci porta dritti a Polanesi. Qui ci accoglie la Chiesa di San Martino con uno splendido affaccio sul mare.

La chiesa di San Martino affacciata sul mare. Totalmente rifatta in tipico stile ligure ha origini antichissime risalendo le prime citazioni al 1195.
Bogliasco e le sue opere di spiaggia
La chiesa di Pieve Ligure, con il suo ampio sagrato, sovrasta le colline affacciate sul mare.

Sori è un gioiello. Le case circondano l’ampia spiaggia e lo scenario è quello del classico borgo ligure. Le case però sono un po signorili e spesso decorate a trompe-l’oeil che ci ricordano dell’antica arte della vicina capitale della Repubblica.

A Bogliasco le case sono come grandi navi.
La chieda di Sant’Ilario domina la discesa verso nervi in una vertigine tra cielo e mare.
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Gran Paradiso: un 4000 tutto italiano

8/8/2019

Una vetta davvero impegnativa. L’idea è di Stefano, la nostra guida che ci ha letteralmente “attaccato” il vizio dei 4000. Il club dei 4000 non è per tutti e una volta intrapresa questa strada non può mancare, nel tuo carnet, l’unica montagna con questo altezza ad essere tutta in territorio italico.

Il ritrovo è a Pont di Valsevarance, nel primo pomeriggio. Stefano è di poche parole, i convenevoli sono brevi ma l’intesa è immediata. Un caffè all’unico bar dell’omonimo parco. Si parte subito per il Rifugio Chabot dove passeremo la notte. Il dislivello è di 800 metri, da 1950 a 2750, l’ascesa è piacevole ma non è una passeggiata. L’arrivo è previsto per le 17,00.

Lungo il percorso incontriamo dei vecchi casolari. L’atmosfera è magica. Nel parco non ci sono impianti di risalita. Si sale solo di gambe.
Rifugio Chabot: piccolo ma perfetto in tutto. La nostra prenotazione con Stefano ci ha guadagnato un vero lusso per la montagna, camera letti a castello solo per noi.
Un tuffo nella natura senza campo!

Il ristorante è piccolo e occorre fare i turni. Noi siamo al primo, ore 19,00: che fame! Che c’è da mangiare? La risposta è lapidaria e si basa sulla quantità: un primo, un secondo e un dolce. Della serie, sii felice che ti tocca un bel pranzo completo!

La notte inizia presto, si riposa ma non si chiude occhio! Il cuore è a 1000, un po’ per l’altitudine e un po’ per l’emozione. D’altra parte la sveglia è puntata presto: 3.30! Colazione, preparativi di rito, zaino in spalla alle 4,30 siamo già sulla via delle vetta, al buio con il frontalino munito di pila.

L’ascesa è affascinante, il silenzio assordante è rotto solo dal tuo fiato e dal rumore degli scarponi sul sentiero. Senza pila non riusciresti a vedere dove metti i piedi!

Le prime due ore scorrono veloci, non fa freddo. La voglia è tanta, il fisico pieno di energie, l’aria non troppo rarefatta. Poi si parte con il tratto nel giaccio: ramponi ai piedi, corde e piccone o picca come la chiama Stefano. Una breve sosta per un thé caldo dal termos, ora ci attende il tratto più duro.

La montagna è maestosa, servono volontà ed energie. Gli scenari che ci attendono sono unici, dominati dal bianco brillante delle nuvole, dalle rocce e dalle ombre.
Le nuvole nel cielo competono con la maestosità delle rocce nel bianco del giaccio. Puoi fermarti a contemplare, ma non indugiare troppo la strada è ancora lunga.

Intanto è l’alba dietro di noi, tinta di rosa dalle prime luci, si scorge lontano e in mezzo alle nuvole una montagna maestosa che sembra voler competere per vincere. Stefano ci conferma: è il MonteBianco!

Dietro la catena, maestosa e nascosta tra le nuvole.

Finalmente raggiungiamo la vetta, sono le 10,00. Il cuore è a 1000, il fiato non c’è quasi più ma non manca l’energia per una foto col sorriso. Gran Paradiso 4061 metri di altitudine.

Questa foto è presa ai piedi dell’ultima roccia per la cima, posta 10 metri sopra a noi ma troppo affollata per una sosta che meritasse la gioia del momento.

La discesa all’inizio è un sollievo. Un po’ per la sensazione di andare veloci, un po’ per il cambio di sforzo, un po’ per l’ossigeno che torna ad abbondare. Il fatto è che dopo si fa avanti la fatica più grande per i muscoli stremati e posti alla prova ancor più dura dalla neve sfatta che sprofonda e poi dagli sfascioni e dallo sforzo incredibile sotto le spinte gravitazionali imposte dalla discesa sempre più veloce. Una vera prova di resistenza che trova sollievo solo dopo diverse ore alla vista del rifugio 1300 metri più sotto.

E’ il Rifugio Vittorio Emanuele II a 2735 metri dove ci attende una sosta e finalmente un pasto caldo. L’avventura volge al termine, in poche ore saremo di nuovo in Valle, con un nuovo bagaglio di sensazioni ed emozioni inestimabile!

Da Pamplona a Santo Domingo de La Calzada

Parlando di viaggio a piedi come può mancare il cammino per antonomasia? Il tempo a disposizione ci costringe a fare delle scelte. Il tratto che decidiamo di percorrere è uno dei più “verdi” del Cammino di Santiago (percorso classico o francese) e attraversa le regioni della Navarra e della Rioja.

Un viaggio dell’anima che ti accompagna ai dolci pendii coltivati a colza e grano verso la piana di Santo Domingo de la Calzada: stiamo parlando di uno dei tratti più belli del cammino di Santiago.

Subito fuori Pamplona i campi di colza sono una occasione imprendibile per un selfie “en plain air”.

E’ una emozione indimenticabile quella che ti porta a scegliere poche cose indispensabili e ad affrontare un percorso di giorni a piedi senza comodità, riparo, connessione: solo tu, le tue scarpe comode, uno zaino leggero, un libro e, irrinunciabile, la macchina fotografica. Poi è stato un privilegio vivere il cammino con Eli ed Emma, due compagne di viaggio straordinarie.

Il battesimo arriva poco dopo un’ora dalla partenza quanto, in direzione del passo del Perdon, un acquazzone impietoso ci riduce a viandanti fradici dalla testa ai piedi con nessun altra possibilità che proseguire nel percorso e sperare in un po’ di indulgenza del tempo o in un riparo.

Alto del Perdòn è il punto più in alto di questo primo tratto di cammino che da Pamplona porta a Puente de la Reina.

Il cielo plumbeo restituisce effetti cromatici non comuni.

Il cammino porta ad attraversare luoghi inusuali ma di grande effetto. Posti che di certo non vedresti altrimenti se non in un viaggio a piedi. Questi che seguono non potrebbero forse essere gli items per un progetto del tipo “get through” o “passing down”?

A tratti il terreno sembra disegnato come una tavolozza, ogni dettaglio è curato. Siamo nel cuore delle Rioja.

Lungo il percorso può capitare di incontrare chi del cammino ha deciso di fare le sua casa. Questo giovane vive qui, lungo il percorso vende alcuni prodotti dell’agricoltura locale e si prende cura di un oliveto fatto di piante secolari.

Nel tratto finale, prima di arrivare a Santo Domingo de La Calzada, il paesaggio si accende qua e là di toni e colori fantastici e inattesi. Non si può resistere alla tentazione di catturare l’emozione visiva nella speranza di farne un ricordo indelebile.